A metà del Seicento, ad un secolo della costruzione della chiesa nella forma monumentale, il gusto cominciò a modificarsi e la chiesa del tutto rinascimentale nei suoi arredi interni iniziò a mostrare i segni del trapasso ad una diversa sensibilità artistica e decorativa. A segnare questo nuovo gusto possiamo sicuramente indicare la tela della “Annunciazione di Maria Vergine” (nella foto) che spicca sul fondo del presbiterio della Chiesa, recante la data del 1655. I governatori dell’Annunziata, per il quadro che raffigurava il mistero di fede cui era dedicata la stessa chiesa, non esitarono ad affidare la commessa del dipinto al pittore campano più rappresentativo di quegli anni, ovvero Massimo Stanzione, il Guido Reni napoletano, come era comunemente definito.
Questi realizzò per la chiesa marcianisana la tela firmata e datata 1655, ovvero l’anno prima della morte avvenuta appunto nel 1656, probabilmente a causa della peste.
Il quadro di grandi dimensioni (alt. mt. 4,71, largh. mt. 3,05) con una magnifica cornice intagliata e dorata venne collocato al centro del presbiterio sulla parete di fondo. Pur essendo per lui un soggetto più volte affrontato, l’Annunciazione di Marcianise segna il punto di arrivo più compiuto del suo linguaggio figurativo nella “narrazione” dell’episodio religioso.
Se ne ha la riprova se si raffronta il quadro della Annunciazione della Chiesa di Santa Maria Regina Coeli di Napoli, che viene fatto rimontare dagli esperti agli anni 1640-1642, con quello di Marcianise, ripetiamo datato 1655. L’impostazione è del tutto simile, ma muta sostanzialmente il messaggio e l’intensità comunicativa. Nel quadro napoletano domina infatti l’idea della remissività ovvero dell’accettazione un po’ supina della volontà divina cui la Vergine si sottopone con quello sguardo abbassato e il capo reclino dinanzi all’angelo nunziante che è posto in posizione dominante rispetto alla fanciulla. Anzi l’arcangelo Gabriele e, a maggior ragione, la colomba che raffigura lo Spirito Santo e Dio Padre sul vertice sinistro del quadro sembrano quasi opprimere l’esile fanciulla che abbassa la testa e naturalmente gli occhi in atteggiamento di accettazione quasi ineluttabile del proprio destino.
Più di un decennio dopo, ormai quasi al termine della vita, Massimo Stanzione interpreta più chiaramente l’episodio con alcune significative diversità. La Vergine, nel quadro di Marcianise, guarda direttamente negli occhi l’arcangelo Gabriele impostato quasi alla stessa altezza della fanciulla inginocchiata che esprime non più l’accettazione del destino di madre in maniera supina, ma del tutto convinta assume sulle sue spalle il compito con piena consapevolezza. E’ una risposta data in piena libertà.
La raffigurazione è infatti di grande efficacia compositiva e narrativa: la Madonna con le sembianze di una giovane fanciulla, abbigliata con un abito di colore rosso, parzialmente coperto da un ampio mantello turchino, è dipinta nell’atto di ascoltare e accettare il messaggio dell’angelo e, per così dire, parla con le mani disposte in senso antitetico. La destra rivolta verso il petto ad indicare se stessa, stupita dal richiamo dell’angelo, e la sinistra distesa, disposta in forma da alludere all’accettazione convinta della missione celeste.
Il tutto arricchito da una epifania del divino realizzata in un tripudio di angeli con la colomba dello Spirito Santo e con Dio Padre che sovrasta tutta la scena. Impreziosita, quest’ultima, dal cesto che in primo piano presenta un fascio di gigli bianchi, sovrastanti un mazzolino di fiori variopinti ad indicare la purezza della Madonna e il mistero dell’incarnazione virginale.
Salvatore Delli Paoli
Da "La Chiesa della Santissima Annunziata di Marcianise nel Settecento" (in corso di stampa)
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