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Immagine del redattoreSalvatore Delli Paoli

QUEL NUOVO DON BOSCO MANDATOCI DALLA PROVVIDENZA


Maddaloni e l'intera provincia di Caserta, più sole e più povere per la morte di don Salvatore D'Angelo (nella foto), piangono giustamente l'uomo che per cinquant'anni e più è stata una presenza significativa di questa Terra di Lavoro, nobile ed avvilita. E guardano all'opera che quest'uomo ha saputo realizzare: un Villaggio dei Ragazzi che dà una speranza a giovani disadattati, scuole di prim'ordine che possono offrire un futuro a chi vuole inserirsi con professionalità alte nel mondo del lavoro. Ma egli avrebbe detto che quanto realizzato è stata opera della Provvidenza, che regge le fila di tutto e che sa dare un orientamento ed una finalità a quanto coscientemente si fa, ma anche a quanto non si fa, che gestisce il tempo e le cose e che spesso distrugge anche i progetti accuratamente studiati, per realizzarne altri. E certo don Salvatore ha dovuto fare i conti anche con questa Provvidenza scomoda, che ha giocato con lui, destinato, per gli studi compiuti, per i meriti acquisiti, per le relazioni intrecciate, ad occupare posti e prebende di primo piano, e che invece lo ha immesso in un impegno di vita dove si è scontrato con la miseria e l'umiliazione, dove essere prete significava sporcarsi le mani.

E le mani davvero don Salvatore se le è sporcate, perché la Provvidenza glielo ha chiesto. Dunque la storia di don Salvatore conferma che la Provvidenza si serve di uomini e perciò don Salvatore D'Angelo è stato uomo della Provvidenza e della fede, testimone del mistero del Cristo crocefisso, ma anche della speranza cristiana: perciò è stato l'uomo che ha saputo andare controcorrente, l'uomo delle scelte coraggiose assunte in solitudine e a volte nel contrasto con altri uomini, anche uomini di chiesa. Ma dalla sua don Salvatore ha avuto sia il suo capufficio, per così dire, sia una testardaggine che è indice di un carattere niente affatto facile: dolce con i suoi ragazzi, prodigo con gli umili, ma niente affatto remissivo quando si è trattato di difendere le sue ragioni. Un uomo difficile, che ha saputo lavorare per la sua opera, ma che non sempre è stato adeguatamente compreso, quando l'eccesso di presenza lo ha sovraesposto, quando è diventato punto di riferimento di ragioni non sempre limpide, quando la sua disponibilità è parsa a qualcuno strumento di raccolta di consenso, o di esercizio di potere. Si tratta del D'Angelo politico, l'uomo di riferimento di Andreotti a Caserta, il protagonista della storia provinciale di una Democrazia Cristiana che in Terra di Lavoro non sempre si è saputa distinguere come classe dirigente attenta alle ragioni del progresso e dello sviluppo. Se oggi è tempo di un bilancio, come sempre succede quando la vita si conclude, don Salvatore, ora che è nel Regno della verità, non si adonterà se questo aspetto viene ricordato oggi come segno di una gratuita disponibilità che a volte, anche al di là delle sue stesse intenzioni, non è stata produttiva. Oggi che giustamente lo si ricorda e lo si celebra, io amo ricordarlo come lo vidi trasfigurato nel film che raccontava la sua storia, "Solo Dio mi fermerà": un nuovo don Bosco che lottava per offrire ragioni di speranza ai giovani orfani figli della tragedia della guerra; un prete diventato facchino, muratore, operaio insieme ai suoi ragazzi; l'uomo senza figli, ma che tutti chiamavano padre. Ed è questo il miracolo da lui compiuto, quello formativo ed è questo suo progetto di impegno verso l'adolescenza che va valorizzato in questo momento. Don Salvatore forse non avrà avuto un progetto pedagogico chiaro, che è, infatti, oscillato tra un modello di educazione fondato sullo spirito delle disciplina militare, a quello più genericamente civico mutuato in qualche modo da don Zeno, fino al metodo preventivo salesiano; diciamo che li ha fusi insieme alla luce della sua vocazione sacerdotale e nel confronto con una presenza personale immensa e sempre gratuitamente disponibile. Per questo sarà impossibile sostituirlo. Ma aveva capito che il futuro dei giovani della sua terra stava nell'istruzione, soprattutto quando il suo progetto educativo si ampliò dall'infanzia abbandonata e a rischio di devianza, alla creazione di istituti improntati alla modernità dell'istruzione e alla qualità dell'insegnamento, per dare e non solo ai suoi ragazzi del Villaggio, ma ai giovani all'intera provincia e addirittura all'intera regione, istituzioni formative moderne in grado di reggere la sfida tecnologica degli anni del duemila. Su questa strada i suoi successori dovranno continuare, se non vorranno dimenticare l'essenza dell'opera e dell'insegnamento di questo straordinario figlio di Terra di Lavoro.

Salvatore Delli Paoli

In “Corriere del Mezzogiorno, 6.6.2000, Anno IV, n. 130, p. 9, ora in Salvatore Delli Paoli, Marcianise e Terra di Lavoro. La vita culturale e sociale. Scritti, saggi, articoli 1976-2017, Marcianise 2018, Libritalia.net, p. 159-160.


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